Israele sta uccidendo i bambini palestinesi di Gaza, perché questi rappresentano il futuro della Palestina, una realtà che Israele non vuole vedere realizzata. Per questo motivo, Israele sta massacrando i bambini e distruggendo tutto ciò che serve per tenerli in vita, mentre il mondo intero assiste immobile a questa metodica e sistematica uccisione. C’è una sete di sangue verso i giovani e i bambini della Palestina, e una politica, quella israeliana, appoggiata da quella occidentale, che li uccide, ne abusa e li lascia morire di fame. Gli israeliani dichiarano apertamente ciò che stanno facendo: vogliono uccidere i bambini palestinesi per eliminare una futura Palestina. I bambini sono il futuro, quindi eliminano il futuro.
I dati pubblicati da Euro-Med Human Rights Monitor al 13 maggio 2024, parlano di 43.640 persone uccise a Gaza di cui 15.971 bambini e 10.382 donne.
Ho cercato di comprendere razionalmente il perché di tutto questo, analizzando due punti di vista: da una parte la teoria dell’imperialismo, dall’altra la resistenza del popolo palestinese.
La prima. All’interno della “Grande Israele” ci sono circa 7,3 milioni di palestinesi e circa 7,3 milioni di ebrei israeliani, creando una quasi uguaglianza tra le due popolazioni. Secondo questa teoria, gli israeliani stanno cercando di evitare un superamento demografico da parte dei palestinesi. Questo porta a pensare che genocidio e pulizia etnica siano gli strumenti più idonei a raggiungere questo obiettivo, piuttosto che continuare con il metodo dell’apartheid. Secondo il professor John Mearsheimer, ci sono fondamentalmente quattro opzioni per Israele.
- La prima è avere una “Grande Israele” democratica. Questo non accadrà perché, con i modelli demografici attuali, i palestinesi fanno più figli degli ebrei israeliani, e quindi Israele non sarebbe più uno Stato ebraico.
- La seconda possibilità è una soluzione a due stati, molto discussa ma praticamente irrealizzabile, soprattutto dopo gli eventi del 7 ottobre. Anche prima di allora, Benjamin Netanyahu e l’élite israeliana non avevano alcun interesse in una soluzione a due stati.
- La terza possibilità è l’apartheid, ciò a cui abbiamo assistito fino ad oggi. Amnesty International, Human Rights Watch e B’Tselem, il principale gruppo per i diritti umani in Israele, hanno prodotto lunghi rapporti che spiegano perché Israele è uno stato di apartheid.
- La quarta opzione è la pulizia etnica, ovvero sbarazzarsi della maggior parte dei palestinesi che vivono a Gaza e in Cisgiordania per creare una Grande Israele completamente dominata dagli ebrei israeliani, con pochissimi, se non nessun palestinese al suo interno.
L’apartheid e il genocidio sono quindi le uniche due possibili scelte nella mente profondamente contorta degli israeliani. Prima del 7 ottobre, Israele aveva scelto l’apartheid, pur definendosi l'”unica democrazia nella regione”. Una democrazia che mette la popolazione palestinese in gabbia, privandola di ogni diritto e terrorizzandola.
La seconda è la teoria della Resistenza. Nonostante la propaganda imperialista occidentale cerchi di codificare tutto ciò che è arabo come barbaro, la resistenza palestinese è composta da pensatori politici estremamente lucidi. Hamas ha delineato il proprio quadro teorico e pratico nel documento “Our Narrative. Operation Al-Aqsa Flood“. In questo documento viene delineato il contesto ben oltre il 7 ottobre, caratterizzando quanto accaduto il 7 ottobre come “un atto difensivo nel quadro della liberazione dall’occupazione israeliana, della rivendicazione dei diritti palestinesi e sulla strada della liberazione e dell’indipendenza come hanno fatto tutti i popoli del mondo“.
Il documento sostiene che, dopo 75 anni di occupazione e sofferenza incessanti, dopo aver fallito tutte le iniziative per la liberazione e il ritorno del popolo palestinese, e anche dopo i disastrosi risultati del cosiddetto processo di pace, cosa ci si aspettasse che facesse il popolo palestinese in risposta a vari fattori:
- I piani degli israeliani per la Moschea di Al-Aqsa, i tentativi di divisione temporale e spaziale, così come l’intensificazione delle incursioni dei coloni israeliani nella moschea
- Le pratiche del governo israeliano estremista e di destra che sta prendendo provvedimenti per annettere l’intera Cisgiordania e Gerusalemme alla cosiddetta “sovranità di Israele” insieme ai piani ufficiali israeliani per espellere i palestinesi dalle loro aree e dalle proprie case
- Le migliaia di detenuti palestinesi nelle carceri israeliane che subiscono la privazione dei loro diritti fondamentali, aggressioni e umiliazioni sotto la supervisione diretta del ministro israeliano Itamar Ben-Gvir
- L’ingiusto blocco aereo, marittimo e terrestre imposto alla Striscia di Gaza per oltre 17 anni
- L’espansione degli insediamenti israeliani in tutta la Cisgiordania a un livello senza precedenti, così come la violenza quotidiana perpetrata dai coloni contro i palestinesi e le loro proprietà
- I sette milioni di palestinesi che vivono in condizioni estreme nei campi profughi e in altre aree e che desiderano tornare nelle loro terre da cui sono stati espulsi 75 anni fa
- Il fallimento della comunità internazionale e la complicità delle superpotenze nell’impedire la creazione di uno stato palestinese
In questo contesto, e secondo il documento, l’operazione del 7 ottobre è stata un passo necessario e una risposta normale per affrontare tutte le cospirazioni israeliane contro il popolo palestinese e la sua causa. È stata un’azione difensiva nel quadro della liberazione dall’occupazione israeliana, della rivendicazione dei diritti palestinesi e sulla via della liberazione e dell’indipendenza, come hanno fatto tutti i popoli del mondo.
Il punto cruciale del quadro della “Grande Israele” era che i palestinesi si sarebbero seduti e avrebbero accettato tutto, ma il 7 ottobre ha rotto questo scenario. Quanto accaduto negli ultimi sette mesi ha però cambiato il paradigma. Israele ha perso il potere deterrente a livello regionale e ha visto diminuire la devozione e il rispetto da parte della “comunità internazionale”, che sta implodendo sotto il peso della sua ipocrisia sui diritti umani.
Israele continuerà a commettere crimini di guerra, ma ora è un animale ferito. Il crollo dello stato di apartheid è solo una questione di tempo. Questo sorprende molti, ma lo sceicco Ahmed Yassin, il martirizzato fondatore di Hamas, lo aveva previsto prima di morire. In un’intervista disse:
“Israele è stato fondato sull’ingiustizia e sul saccheggio. Qualsiasi entità fondata sull’ingiustizia e sul saccheggio è destinata a essere distrutta. Il potere di nessuno al mondo dura per sempre. Inizi come un bambino, poi diventi un adolescente, un giovane, poi diventi un uomo anziano, e poi è finita. Lo stesso vale per i paesi. Progrediscono a poco a poco fino a estinguersi. Questo non può essere evitato“.
La regione sembrava aver “normalizzato” l’apartheid, ma stava per esplodere. Questo è il cambio di passo avvenuto il 7 ottobre, quando Israele ha deciso di annientare due milioni di persone nella Striscia di Gaza. Pulizia etnica completa, di fronte al mondo intero.
Israele combatte contro il futuro e il passato, uccidendo più bambini possibile nel vano tentativo di far durare l’abominio. Se si vuole applicare la pulizia etnica, il miglior investimento sono i bambini. In termini di anni di vita distrutti e persone traumatizzate, i bambini sono gli obiettivi di maggior valore. Ecco perché Israele li prende così tanto di mira.
Le forze militari israeliane dell’IDF evitano il più possibile le battaglie con gli uomini e preferiscono massacrare ospedali, campi profughi e case. Niente di tutto questo è un danno collaterale. La crudeltà è il punto. Il vero obiettivo è quello di ripulire etnicamente Gaza. Il motivo per cui vogliono ripulire etnicamente Gaza è perché così si esce dall’apartheid. Molti hanno compreso che Israele è uno stato di apartheid. Anche gli israeliani capiscono che Israele è uno stato di apartheid. La questione è che il modo per uscire dall’apartheid è eliminare la popolazione palestinese, e uno dei modi più efficaci per farlo è uccidere i bambini, perché così si eliminano le future generazioni.
Questo porta ad una chiara conclusione: il futuro della Palestina e del suo popolo viene sistematicamente minato. Ogni bambino palestinese ucciso rappresenta non solo una vita stroncata, ma anche un pezzo del futuro palestinese distrutto. La strategia israeliana, come evidenziato dai fatti, è quindi non solo genocida, ma anche mirata a cancellare qualsiasi possibilità di un futuro palestinese.
In questo contesto, l’operazione del 7 ottobre è vista dai palestinesi come un atto difensivo e necessario, una risposta all’oppressione continua e alla sistematica distruzione del loro popolo e delle loro prospettive future. La resistenza, come delineata da Hamas, non è vista come un atto di terrorismo, ma come una lotta per la liberazione e l’indipendenza contro un’occupazione ingiusta.
Israele, secondo questa visione, non è sostenibile nel lungo periodo perché è costruito su basi di oppressione e ingiustizia. La resistenza palestinese, nonostante le difficoltà e le perdite, continua a lottare per la giustizia e la liberazione del proprio popolo.
L’intero contesto geopolitico sta cambiando. L’imperialismo ostinato si scontra con una resistenza ancora più ostinata. La “normalizzazione” dell’apartheid israeliano sembra essere solo un’illusione, poiché la situazione è esplosiva su vari fronti. Il cambiamento di paradigma avvenuto il 7 ottobre ha dimostrato che i palestinesi, lontani dall’essere sconfitti, sono ancora determinati a lottare per la loro libertà.
Israele continua a commettere crimini di guerra, ma la sua posizione è sempre più precaria. La comunità internazionale, pur complice e spesso silente, sta iniziando a riconoscere la brutalità e l’ingiustizia della situazione. Il crollo dello stato di apartheid sembra inevitabile, e la lotta per la giustizia e la liberazione dei palestinesi continua con rinnovata determinazione.
La tragedia dei bambini palestinesi non è solo una questione di vite spezzate, ma rappresenta un attacco sistematico al futuro della Palestina. La resistenza contro questa oppressione è vista non solo come un diritto, ma come una necessità per la sopravvivenza e la liberazione di un intero popolo.
Dan ROMEO