Intervista con un Rifugiato Palestinese in Libano
Durante l’ultima missione in Libano per documentare la devastazione dei bombardamenti israeliani, ho raccolto decine di testimonianze di rifugiati palestinesi e siriani. Questa intervista con Khalil, rifugiato palestinese, mette in luce le sfide e le sofferenze affrontate dai rifugiati palestinesi in Libano durante l’ultimo conflitto con Israele. La sua storia evidenzia come la guerra abbia esacerbato le vulnerabilità preesistenti di questa comunità, che già viveva in condizioni di povertà, discriminazione e marginalizzazione. L’esperienza di Khalil sottolinea l’urgente necessità di fornire aiuti umanitari ai rifugiati palestinesi in Libano, non solo per soddisfare i loro bisogni immediati, ma anche per sostenerli nel lungo termine, offrendo loro opportunità di istruzione, lavoro e una vita dignitosa. La sua testimonianza è un richiamo alla responsabilità della comunità internazionale nel garantire la protezione e il rispetto dei diritti dei rifugiati palestinesi, e nel lavorare per una soluzione giusta e duratura al conflitto che li ha costretti all’esilio da oltre 76 anni.
Dan: Grazie per aver accettato di parlare con me oggi. Potresti raccontarmi un po’ della sua vita prima del recente conflitto?
Khalil: Mi chiamo Khalil, ho 42 anni e sono un rifugiato palestinese. Sono nato e cresciuto nel campo profughi di Rashidieh, vicino a Tiro, nel sud del Libano. La mia famiglia è arrivata in Libano nel 1948, durante la Nakba, quando furono costretti a lasciare la Palestina. Da allora, viviamo in questo campo, come tanti altri palestinesi, affrontando discriminazione e difficoltà. Anche prima della guerra, la vita era difficile. Come molti rifugiati palestinesi, avevo difficoltà a trovare un lavoro stabile a causa delle leggi discriminatorie che ci impediscono di accedere a molte professioni. Lavoravo come carpentiere e vivevo con mia moglie e i nostri tre figli. Avevamo una casa, una comunità e una parvenza di normalità, ma vivere nel campo era già difficile, con la sovrappopolazione, la mancanza di servizi igienici adeguati e la costante paura di violenze.
Dan: Come hai vissuto l’escalation delle ostilità? Qual è stata la tua esperienza personale durante il conflitto?
Khalil: È stato terrificante. I bombardamenti israeliani erano incessanti, giorno e notte. Le case tremavano, le finestre si frantumavano e il cielo era pieno di fumo nero. Abbiamo vissuto nella paura costante di essere colpiti. I miei figli erano terrorizzati, non riuscivano a dormire e piangevano continuamente. Quando abbiamo dovuto abbandonare le nostre case, ho temuto che stessimo vivendo una nuova Nakba, che i nostri campi sarebbero stati distrutti e che non avremmo mai più potuto tornare. Dopo giorni di bombardamenti vicino al campo, abbiamo ricevuto l’ordine di evacuare. È stato come rivivere la catastrofe che i miei genitori hanno vissuto nel 1948. Ma con la guerra, la situazione è diventata insostenibile.
Dan: Dove siete andati quando avete lasciato il campo? Puoi descrivere le condizioni di vita nel centro dove hai trovato rifugio? Quali erano le sfide principali che avete affrontato lì?
Khalil: Siamo fuggiti verso nord, come migliaia di altri. Abbiamo trovato rifugio in un centro di formazione professionale. Lì abbiamo trovato altre famiglie di rifugiati, sia palestinesi che libanesi, tutti in fuga dalla violenza. Le condizioni erano difficili, eravamo ammassati in spazi ristretti, con poca privacy e servizi igienici inadeguati. Il cibo era scarso e la paura di nuovi attacchi era sempre presente. Molti bambini, compresi i miei, hanno iniziato ad avere incubi e difficoltà a concentrarsi.
Dan: Come il conflitto ha influenzato la tua vita quotidiana e quella della tua famiglia?
Khalil: Ha distrutto tutto. Ho perso il mio lavoro, la mia casa è stata danneggiata e non abbiamo più accesso ai servizi essenziali come acqua potabile e assistenza sanitaria. Molti ospedali sono stati danneggiati dai bombardamenti, quindi è difficile accedere alle cure mediche. I miei figli non possono andare a scuola perché molte sono state danneggiate o trasformate in rifugi. Viviamo con l’aiuto degli operatori umanitari, ma non è abbastanza. Cibo, medicine, vestiti… tutto è diventato scarso e costoso.
Dan: Come sta affrontando la tua famiglia il trauma di questa guerra? Hai notato cambiamenti nel comportamento dei tuoi figli?
Khalil: È molto difficile. Mia moglie è costantemente ansiosa e i miei figli hanno incubi e difficoltà a dormire. Sono diventati più irritabili e hanno paura di ogni rumore forte. Cerchiamo di sostenerci a vicenda e di dare loro un senso di sicurezza, ma la verità è che siamo tutti traumatizzati.
Dan: Quali sono le principali sfide che i rifugiati palestinesi affrontano in Libano, anche al di là del conflitto attuale?
Khalil: Come rifugiati palestinesi, siamo discriminati in molti aspetti della vita. Non abbiamo gli stessi diritti dei cittadini libanesi. Ci sono molte professioni che non possiamo svolgere e non possiamo possedere proprietà. Questo ci rende ancora più vulnerabili e dipendenti dagli aiuti.
Dan: In che modo questo conflitto ha peggiorato la situazione dei rifugiati palestinesi in Libano, rispetto alle difficoltà che già affrontavate prima?
Khalil: Questo conflitto ha esacerbato le nostre vulnerabilità. Prima avevamo almeno una casa, un lavoro, una comunità. Ora abbiamo perso tutto. Siamo ancora più poveri, più emarginati e più disperati.
Dan: Ci sono organizzazioni internazionali che stanno fornendo aiuti ai rifugiati? Quali sono i tipi di assistenza che avete ricevuto?
Khalil: Sì, ci sono diverse organizzazioni che ci stanno aiutando. L’UNRWA ci fornisce cibo e assistenza medica di base. Altre organizzazioni stanno finanziando programmi per fornire alloggi, assistenza sanitaria e protezione. Abbiamo ricevuto cibo, acqua, coperte e kit igienici. Ma abbiamo bisogno di molto di più, soprattutto di un supporto per ricostruire le nostre case e le nostre vite.
Dan: Cosa pensi del cessate il fuoco e delle sue implicazioni per i rifugiati palestinesi in Libano?
Khalil: Il cessate il fuoco è un sollievo, ma non risolve i nostri problemi. Molti di noi hanno perso tutto e non sanno quando e se potranno tornare alle loro case. Anche se potessimo tornare, cosa troveremmo? Le nostre case sono distrutte, i nostri campi sono devastati. Abbiamo bisogno di un aiuto concreto per ricostruire le nostre vite.
Dan: Quali sono le tue preoccupazioni principali in questo momento?
Khalil: La mia preoccupazione principale è il futuro dei miei figli. Come potranno crescere e avere un futuro dignitoso in queste condizioni? L’insicurezza, la povertà, la mancanza di opportunità… è un ciclo che si ripete da generazioni. Temo che i miei figli saranno condannati a vivere la stessa vita di miseria e discriminazione che ho vissuto io.
Dan: Quali sono le tue speranze e le tue paure per il futuro? Cosa pensi che accadrà ai rifugiati palestinesi in Libano?
Khalil: Spero che un giorno potremo tornare nella nostra patria, la Palestina. Ma questo conflitto ha reso la nostra situazione ancora più precaria. Temo che saremo dimenticati, abbandonati al nostro destino.
Dan: Quali sono i tuoi bisogni più urgenti in questo momento? Come gli operatori umanitari possono aiutare?
Khalil: Abbiamo bisogno di tutto: cibo, acqua, medicine, alloggi, istruzione per i nostri figli. Ma abbiamo bisogno anche di sostegno psicologico per superare il trauma di questa guerra. E soprattutto, abbiamo bisogno di speranza. Speranza in un futuro migliore, speranza di poter tornare un giorno nella nostra patria.
Dan: Grazie per aver condiviso la tua storia. Ti auguro tutto il meglio per il futuro.
Khalil: Shukran. Grazie a te per aver dato voce alla nostra sofferenza.
Dan ROMEO