Gaza: catastrofe umanitaria e piani di occupazione

Maggio 2025. La Striscia di Gaza si trova avvolta in una spirale di disperazione senza precedenti. Mentre l’esercito israeliano intensifica la sua offensiva militare, emergono piani dettagliati per una potenziale occupazione prolungata e una radicale riconfigurazione del territorio. Parallelamente, la popolazione civile, stremata da 19 mesi di conflitto, è spinta sull’orlo della carestia a causa di un blocco quasi totale degli aiuti umanitari, scatenando l’allarme della comunità internazionale e reiterate accuse di crimini di guerra.

L’offensiva israeliana nella Striscia ha raggiunto un inquietante stadio dall’inizio di maggio con l’approvazione da parte del governo israeliano di piani che prevedono una strategia volta a un controllo più profondo e duraturo del territorio palestinese. Queste decisioni delineano un’occupazione a tempo indeterminato di Gaza, massicci spostamenti di popolazione e un drastico cambiamento nella gestione degli aiuti umanitari.
Agli inizi del mese, il governo israeliano ha votato a favore di un piano per “impadronirsi della Striscia di Gaza” per un periodo di tempo non specificato. Questa mossa, qualora venisse pienamente implementata, rappresenterebbe una vasta espansione delle operazioni militari israeliane nel territorio palestinese. Il primo ministro israeliano Netanyahu ha successivamente annunciato il via libera a un piano per ampliare e intensificare ulteriormente le operazioni militari. Le sue parole hanno lasciato intendere che Israele non si limiterà a incursioni temporanee, ma mirerà a mantenere il controllo del terreno conquistato, aprendo la strada a una possibile occupazione militare completa dell’enclave.

Il passaggio da incursioni mirate a un controllo territoriale prolungato segnerebbe un punto di svolta con profonde e potenzialmente irreversibili implicazioni per la sovranità palestinese e la stabilità dell’intera regione.
Parallelamente ai piani di espansione militare, sono emersi dettagli preoccupanti riguardo al destino della popolazione civile di Gaza. Il piano israeliano approvato prevede esplicitamente lo spostamento di centinaia di migliaia di palestinesi verso le aree meridionali della Striscia di Gaza. Questa prospettiva ha immediatamente sollevato gravi allarmi da parte delle Nazioni Unite e di numerose organizzazioni per i diritti umani, che hanno avvertito come un tale spostamento di massa equivarrebbe a un trasferimento forzato, in violazione del diritto internazionale, e non farebbe che esacerbare una crisi umanitaria già catastrofica. Parte integrante di questo piano sarebbe la creazione di una “zona umanitaria” nel sud di Gaza, destinata ad accogliere gli sfollati.

Gli israeliani parlano di “spostamento per protezione” ma questo nasconde una palese operazione di pulizia etnica. La concentrazione di una popolazione già stremata in aree ancora più ristrette del sud solleva interrogativi angoscianti sulla vivibilità di tali zone e sulla capacità di gestire le necessità umanitarie basilari. Secondo i dati ONU, già il 69% del territorio della Striscia di Gaza è attualmente soggetto a ordini di evacuazione israeliani o è stato incorporato nelle cosiddette zone cuscinetto di sicurezza istituite da Israele nel corso degli ultimi mesi.

Un altro aspetto cruciale dei piani israeliani riguarda la futura gestione e distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. Israele ha manifestato l’intenzione di imporre il proprio controllo diretto su questo flusso vitale, motivando tale scelta con accuse, non comprovate da evidenze concrete, secondo cui Hamas devierebbe gli aiuti a proprio vantaggio. Il piano delineato prevede l’impiego di compagnie di sicurezza private e la designazione di aree specifiche, protette e controllate dall’esercito israeliano, per la distribuzione degli aiuti. I palestinesi che accederanno a tali aiuti sarebbero sottoposti a procedure di screening. Si è parlato anche dell’utilizzo di tecnologie di riconoscimento facciale e di un sistema di allerte via SMS per informare la popolazione sulla possibilità di ritirare gli aiuti. Questa prospettiva è una chiara e netta violazione dei principi fondamentali del diritto internazionale e l’ONU e le principali ONG internazionali e palestinesi hanno pubblicamente denunciato i piani israeliani, interpretandoli come un tentativo di smantellare il sistema di distribuzione degli aiuti esistente, gestito proprio dall’ONU e dai suoi partner umanitari. Il controllo sulla distribuzione degli aiuti rappresenta una leva di potere estremamente significativa in un contesto di assedio e deprivazione.

La proposta israeliana è una pura e strategia militare che va contro tutti i principi fondamentali di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza che dovrebbero governare la fornitura di assistenza.

Infine, ad alimentare ulteriormente le preoccupazioni internazionali, vi sono le discussioni, sempre più esplicite da parte di alcuni settori del governo israeliano, relative alla cosiddetta “emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza e alla potenziale reintroduzione di insediamenti israeliani nella Striscia. Funzionari israeliani hanno, infatti, contattato diversi paesi terzi riguardo a un piano, apparentemente sostenuto dall’amministrazione Trump, per trasferire la popolazione di Gaza. Questa proposta ha immediatamente suscitato un’ondata di condanna internazionale.

In maniera ancora più diretta, il ministro delle finanze israeliano di estrema destra, ha dichiarato pubblicamente che la Striscia di Gaza sarà “interamente distrutta” e che, di conseguenza, i suoi abitanti palestinesi “inizieranno a partire in gran numero verso paesi terzi”.

L’annuncio formale israeliano riguardo alla presa di Gaza solleva concretamente la possibilità del ristabilimento di insediamenti israeliani all’interno del territorio, da cui Israele si era ritirato nel 2005. L’ufficio delle Nazioni Unite per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese ha esplicitamente respinto qualsiasi proposta volta a sfollare i palestinesi da Gaza sotto la maschera ingannevole della cosiddetta “migrazione volontaria” o di piani di “ricostruzione” che mirerebbero a consolidare l’occupazione illegale. È stato inoltre riportato che Israele ha istituito un apposito ufficio governativo con il compito di preparare e facilitare la “partenza volontaria verso paesi terzi”. Documenti indicano che Sudan, Somalia e la regione separatista del Somaliland sarebbero stati contattati come possibili destinazioni per i palestinesi di Gaza . Le reazioni di questi paesi sono state contrastanti o di netto rifiuto.

L’uso del termine “volontario” in un contesto di assedio, bombardamenti indiscriminati e distruzione così vasta appare palesemente fuorviante. Il ristabilimento degli insediamenti israeliani a Gaza costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale, minando in modo forse definitivo le già flebili prospettive di uno stato palestinese indipendente e sovrano.

Dan ROMEO